Là sopra il monte, un alto castello
È la dimora del figlio del re.
È un giovinetto forte, alto e bello:
Ma tutti cercano: dov’è, dov’è?
Rapito è stato quel bel bambino
Da chi? Perché? Dal prence Lino.
Il prence Lino,fratello del re,
Fece rapire suo nipote
Perché presto ei sarà re
Se il principino sparisce: dove?
Nella dimora del prence Lino
Hanno condotto il principino.
Il re rovista solai e cantine
Ma il principino proprio non c’è
Della regina, le ancelle vicine
Stanno piangendo:il bimbo dov’è?
Hanno trovato il principino?
S’informa sempre il prence Lino.
Un giovinetto sen va dal re
( vien dal castello del prence Lino)
E dice: -Sire,io so dov’è!
Io so trovare il principino!
Il vostro caro e bel bambino
È nel castello del prence Lino!
Molto stupito rimane il re
Che il rapitore sia suo fratello
“Andiam guerrieri!” grida “perché
Lo troveremo in quel castello!”
E nel castello del prence Lino
Essi ritrovano il principino.
Il principino corre dal re:
Chiede la grazia per lo zio Lino.
“E sia, concede contento il re,
“Tu hai un cuore da re bambino.
Grazia concedono al prence Lino
Il re adulto e il re bambino.
In questa notte
Il silente canto
E delle piccole stelle
Ch’essa s’aduna d’intorno
E’ qui, con noi, che timidi
Siam presi d’incanto
Come il mare, e come la lieve ombra
Che s’ode frusciare
E bagna la sabbia, fin qui,
Ove noi siamo. E presi per mano
Andiamo, seguendo il mormorio
Del mare che, sotto la cupa
Cappa del cielo, si sfuma, con esso,
Laggiù all’orizzonte e noi andiamo
Leggeri, in silenzio, immersi
Nell’aria fredda, salmastra,
Ch’è profumata dal mare,
E dalla sua onda verdastra.
E laggiù sugli scogli
Che tetri si ergono
Già neri della più nera notte
Un bagliore lontano,che tinge
D’un rosa pallido, trasparente
Il mare all’orizzonte,ci dice,
Silente, che l’alba è vicina.
Ed una trepida stella che,lieve,
S’inchina alla sorgente aurora,
Già trema e svanisce.
Il mormorio del mare,
Il frangersi leggero dell’onda,
Che or pare cantare felice
In attesa d’un raggio di sole
E bagna gli scogli, già tutti
Iridati di luce, rapisce
Il mio animo, ed il tuo
Ed il nostro pensiero.
E’ l’alba, e un bagliore leggero,
Irreale, già tinge d’un rosa
D’argento il cielo ed il mare,
Confusi in una luce sola.
E noi camminiamo, per mano,
Rapiti, guardando l’aurora.
Un tempo si chiamava primavera
La stagione che inizia verso aprile;
ma ora, dov’è il sole? È una chimera
dire che aprile dolce è dormire?
Le rondin son tornate, questo è vero
Ma non rimpiangeranno i bei paesi
Dove la notte il ciel non è sì nero,
ma pien di stelle e di brezze cortesi?
Prima strofa
un tempo si chiamava prima v’era.
Mi ricordi la morte, o cara sera,
E una gentil tristezza mi circonda
Quando tu scendi, come una chimera
Appena tace, del sol, la luce bionda.
Tu fai pensare ai dolci dì lontani,
A cose che son morte o che verranno
Perché la tua presenza fa sperare
A cose dolci e buone, e insegna a amare.
In questa notte
Il silente canto
Della pallida luna
E delle piccole stelle
Ch’essa s’aduna d’intorno
E’ qui, con noi, che timidi
Siam presi d’incanto
Come il mare,
Come la lieve ombra
Che s’ode frusciare
E bagna la sabbia, fin qui,
Ove noi siamo.
E presi per mano
Andiamo, seguendo
il mormorio del mare
Che, sotto la cupa
Cappa del cielo, si sfuma, con esso,
Laggiù all’orizzonte.
E noi andiamo
Leggeri, in silenzio, immersi
Nell’aria fredda, salmastra,
Ch’è profumata dal mare,
E dalla sua onda verdastra.
Che tetri si ergono
Già neri della più nera notte
Un bagliore lontano,che tinge
D’un rosa pallido, trasparente
Il mare all’orizzonte, ci dice,
Silente, che l’alba è vicina.
Ed una trepida stella che, lieve,
S’inchina alla sorgente aurora,
Già trema e svanisce.
Il mormorio del mare,
Il frangersi leggero dell’onda,
Che or pare cantare felice
In attesa d’un raggio di sole.
E bagna gli scogli, già tutti
Iridati di luce, rapisce
Il mio animo, ed il tuo
Ed il nostro pensiero.
E’ l’alba, e un bagliore leggero,
Irreale, già tinge d’un rosa
D’argento il cielo ed il mare,
Confusi in una luce sola.
E noi camminiamo, per mano,
Rapiti, guardando l’aurora.
Dalla finestra chiusa, dietro i vetri,
Io vedo un malinconico paesaggio:
Tremano al vento i ciliegi, i peschi,
Piangono i salici e trema pure il faggio.
Le rondinelle, tristi e intirizzite,
Non riempion l’aria dei lor gridi lieti
Ma volan freddolose ed intristite
A cercar cibo, oppur planano quiete.
La natura tremante aspetta e spera
Che finalmente il sole si decida
“Dov’è andata a finir la primavera?”
Sembra che un filo d’erba all’altro dica.
Già,dov’è andata? Anch’io da tanto chiedo:
Ma può questa domanda aver risposta?
Tutte le piante, ed anche il bel ciliegio
Si chiedon s’essa è morta, oppur se dorma.
Forse s’è addormentata tra i suoi fiori,
O forse attende che la chiamin fuori
Il sole e il vento; e se invece fosse…
Che, da tutti gli scoppi spaventata
Si sia chiusa in un luogo a lei sicuro,
Sopra un altro pianeta, e incominciata
Abbia là la missione sua? E’ ben duro
Pensar che forse, con la bomba atomica,
Con l’acca, oppur con l’altra più potente,
La primavera spaventata,amica
Sia diventata di Saturno o Marte.
E noi? Dobbiam star qui a intirizzire?
In pieno Maggio? E ad aspettar che cosa?
Forse che arrivi qui? Lasciate dire
A me: essa a star qui,non osa!
E’ troppo spaventata, poverina,
E non a torto,io dico,perché sembra
Che, a continuar così, giù per la china,
Un bel dì il nostro mondo si smembra!
Neri, silenti, alti e solenni
Nell’immensità notturna dell’aria,
Gli snelli cipressi si ergono
E pare che giudichino
Severi,implacabili,
La vita terrena.
La notte d’intorno
Li rende infiniti
E par che il fogliame
Raggiunga il cielo
Per giudicare con gli angeli.
Si, par infinito
Quel cupo fogliame
Che, nero, si perde
Nel nero dell’aria.
Non s’ode un sussurro.
Qui tutto è silenzio:
Eterno silenzio
Ma colmi, i cipressi
Sono della loro
tacita eloquenza
E dicono in coro
Privo d’indulgenza
A noi peccatori.
E il tetro silenzio
Della cupa notte
Priva d’astri e di luna
Sussurra terribile
L’eco della condanna.
Ma un lieve squarcio
Delle nere nubi, lascia filtrare
Un raggio lunare.
Una lama di luce
Discende, leggera,
Fra noi e ci consola.
Non è più implacabile
Nel lieve bagliore,
Non è più terribile
L’aspetto dei giudici
Ma, con indulgenza
Ci porta il perdono.
E pare che un coro
Di limpide voci gentili,d’angeli
Innanzi per noi
Una devota prece.
Ti aspetto
E ti penso sovente
Vicino a quel pozzo
Che solo,
Fra il verde,
E’ un simbolo
Un gentile ricordo.
Quel dolce,
Triste passato
Che molti non hanno,
Non vogliono avere.
La strada è più triste,
Più grigio è il tramonto.
Ma il nulla è silenzio,
tremendo silenzio
immersa nel vuoto
mi sento perduta.
Senza un passato
Non c’è avvenire.
In questa dolce
Silente quiete
Vaga il pensiero
E mi riporta a te.
A te, sempre presente
Che mai potei
Tenere fra le braccia.
Mai potei dirti
Del mio profondo amore,
del mio desiderio
di averti vicino.
E attendo:
che cosa non so.
Ma attendo serena,
paga del tuo ricordo,
paga di respirare il tuo cielo,
di vivere nel tuo sole,
con la consapevolezza
del tuo esistere.
Anche se lontano
Sempre nel mio pensiero.
Viaggio per il mondo
E vedo cattedrali
Rose dallo smog.
Entro nei musei
E vedo quadri
Distrutti dallo smog.
Entro nella vita
E vedo tutto morto.
E’ lo smog.
C’era una volta l’arte
C’era una volta la vita:
Ora c’è lo smog.
La soave tristezza
Del tramonto…
L’immensità del mare…
Le nubi che spaziano,
Libere,
Nel cielo.
La solitudine…
Un sogno.